Don Giovanni

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E per la gioia de ilKaiser

Scena VIII, Atto secondo " Ferma, briccone, dove ten vai?"

Don Giovanni

Don Giovanni (titolo originale: Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, K 527) è un'opera lirica in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart.

È la seconda delle tre opere italiane che il compositore austriaco scrisse su libretto di Lorenzo Da Ponte (che era al servizio dell'imperatore d'Austria), il quale attinse a numerose fonti letterarie dell'epoca. Essa precede Così fan tutte (K 58😎 e segue Le nozze di Figaro (K 492), e venne composta tra il marzo e l'ottobre del 1787, quando Mozart aveva 31 anni.
Commissionata dall'imperatore Giuseppe II, non andò tuttavia in scena per la prima volta a Vienna, bensì al Teatro degli Stati di Praga.
Il filosofo danese Søren Kierkegaard scrisse un lungo saggio in cui afferma, citando Charles Gounod, che il Don Giovanni è «un lavoro senza macchia, di ininterrotta perfezione». Il finale, in cui Don Giovanni rifiuta di pentirsi, è stato argomento delle dissertazioni filosofiche e artistiche di molti scrittori, tra cui George Bernard Shaw, che nel Man and Superman parodiò l'opera con un esplicito riferimento a Mozart nel cliente della scena finale tra il Commendatore e Don Giovanni.
Il Don Giovanni è considerato uno dei massimi capolavori di Mozart, della storia della musica e della cultura occidentale in generale. In esso vi è il riflesso di tutto il genio mozartiano e di un Settecento musicale giunto ormai all'apice del suo fulgore e alle porte dell'ormai prossimo Romanticismo.

Personaggi:

Don Giovanni: nobile cavaliere molto licenzioso che passa la vita a sedurre le donne (baritono).
Leporello: servitore di Don Giovanni. Trascrive le conquiste amorose del suo padrone su un catalogo (basso-baritono o basso buffo).
Commendatore: il Signore di Siviglia e padre di Donna Anna; all'inizio dell'opera sarà ucciso da Don Giovanni poi tornerà sotto forma di statua per punirlo (basso o basso profondo).
Donna Anna: figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio (soprano).
Don Ottavio: promesso sposo di Donna Anna (tenore).
Donna Elvira: nobile dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni. Donna Elvira lo cerca affinché si penta delle sue malefatte (soprano o mezzosoprano).
Zerlina: contadina corteggiata da Don Giovanni (soprano o mezzosoprano).
Masetto: promesso sposo, molto geloso, di Zerlina (baritono, basso-baritono o basso).
Contadini e Contadine: amici di Masetto e Zerlina (coro).
Servi: servitori e gendarmi di Donna Anna e Don Ottavio (coro).
Suonatori: suonatori di Don Giovanni (coro).
Demoni e Diavoli: entità infernali richamate dalla statua del Commendatore per trascinare Don Giovanni all'inferno (coro).

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, mandolino, archi
Il basso continuo nei recitativi secchi è affidato al clavicembalo ed al violoncello
Composizione: Praga, Marzo - 28 Ottobre 1787
Prima rappresentazione: Praga, Nationaltheater, 29 Ottobre 1787



Atto Primo

È notte, nel giardino antistante la casa di Donna Anna. Leporello passeggia annoiato in attesa del padrone, che si è introdotto mascherato in casa di Donna Anna per farla sua (introduzione "Notte e giorno faticar"). La tentata violenza però non riesce: Anna insegue il cavaliere cercando di scoprirne l’identità e viene poi soccorsa dal padre, il Commendatore, che sfida Don Giovanni a duello rimanendone mortalmente ferito. Compiuto il misfatto, Don Giovanni e Leporello fuggono. Rientra Donna Anna con un manipolo di servitori e scopre il cadavere del padre. Assistita da Don Ottavio, Anna fa giurare a quest’ultimo di compiere le sue vendette (duetto "Fuggi, crudele, fuggi"). Frattanto Don Giovanni s’appresta a nuove conquiste: scorge di lontano una fanciulla tutta sola e le si avvicina, ma scopre con raccapriccio che è Donna Elvira, una nobile dama da lui sedotta e abbandonata pochi giorni prima (aria "Ah chi mi dice mai"). Ella va cercando disperata d’amore il libertino, e nello scorgerlo chiede ragione del suo comportamento: imbarazzato, Don Giovanni lascia al confuso Leporello il compito di giustificarlo, e quindi fugge. Il servo non può far altro che spiegare a Donna Elvira la natura del suo padrone, e le dà un significativo cenno del catalogo delle sue conquiste ("Madamina, il catalogo è questo"). Elvira non si dà comunque per vinta. Poco oltre, un gruppo di contadini festeggiano le nozze di Zerlina e Masetto. Don Giovanni immediatamente si accinge alla seduzione della sposina, e spedisce il recalcitrante Masetto a casa sua in compagnia di Leporello ("Ho capito, signor sì"): restato solo con Zerlina, la invita a seguirlo e le promette di sposarla ("Là ci darem la mano"). La giovane contadina sembra acconsentire quando sopraggiunge Donna Elvira, che la mette in guardia dalle arti malefiche di Don Giovanni e la porta via con sé. Sopraggiungono poi Donna Anna e Don Ottavio, che chiedono a Don Giovanni di assisterli nella ricerca dell’empio uccisore del Commendatore. Ancora una volta, però, Donna Elvira esorta la nobile coppia a diffidare del cavaliere (quartetto "Non ti fidar, o misera"), che per contro accusa la donna di pazzia. Rimasta sola con Don Ottavio, Anna trasalisce: dalla voce ha riconosciuto in Don Giovanni l’assassino di suo padre, e spinge quindi Ottavio a far giustizia ("Or sai chi l’onore" e aria di Don Ottavio per l’edizione viennese "Dalla sua pace"). Leporello racconta a Don Giovanni come abbia allontanato Donna Elvira e condotto con sé Zerlina alla festa che il padrone gli ha comandato d’organizzare. Compiaciuto, Don Giovanni esprime la sua volontà d’allungare in quella notte la lista delle sue conquiste ("Fin ch’han dal vino"). Nel giardino del palazzo di Don Giovanni, Zerlina cerca di far pace con Masetto ("Batti, batti bel Masetto"). Al giungere del cavaliere, Masetto si nasconde per verificare la fedeltà della moglie, ma è subito scoperto; Don Giovanni li invita allora al ballo. Dal balcone, intanto, Leporello scorge tre persone in maschera e invita anche costoro alla festa a nome del padrone. Si tratta in realtà di Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio, accorsi per sorprendere il reprobo. Don Giovanni li accoglie inneggiando alla libertà, mentre iniziano le danze. Il cavaliere balla una contraddanza con Zerlina e cerca di trarla in disparte per approfittarne. Zerlina però urla fuori scena e tutti si precipitano in suo soccorso. Don Giovanni cerca allora di scaricare la colpa della tentata violenza su Leporello, ma le tre maschere, rivelando la propria identità lo accusano apertamente di tutti i suoi delitti e si fanno avanti per arrestarlo: il dissoluto riesce tuttavia a fuggire (finale "Gente aiuto, aiuto gente!").



Scena XV, Atto secondo "Don Giovanni, a cenar teco"

Atto Secondo

Sul far della sera, in una strada vicino a casa di Donna Elvira, Leporello cerca di prendere le distanze dal padrone accusandolo d’empietà (duetto "Eh via buffone"); Don Giovanni lo tacita con un’offerta di danaro, e impone poi al servo di scambiare con lui gli abiti, in modo da permettergli di far la corte alla cameriera di Donna Elvira, mentre Leporello, con gli abiti del cavaliere dovrà tenere occupata la dama. Elvira s’affaccia al balcone e cade nel tranello, pensando che Don Giovanni si sia ravveduto. S’allontana allora con Leporello travestito, mentre Don Giovanni si pone sotto la finestra a far al serenata al suo nuovo oggetto di desiderio (canzonetta "Deh vieni alla finestra"). Sopraggiunge però Masetto che, in compagnia d’altri villici, dà la caccia a Don Giovanni per trucidarlo. Il cavaliere, approfittando del suo travestimento da Leporello, non si fa riconoscere e riesce abilmente a disperdere il gruppo. Rimasto solo con Masetto, lo copre di botte. I lamenti del contadino attirano allora l’attenzione di Zerlina, che soccorre il marito ("Vedrai carino"). Frattanto, Leporello non sa più come reggere il confronto con Donna Elvira e cerca di fuggire: in breve si trova però circondato da Donna Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto, i quali, credendolo Don Giovanni, vorrebbero giustiziarlo (sestetto "Sola sola in buio loco"). Allora Leporello svela la propria identità e riesce a dileguarsi. Don Ottavio comunica a tutti la sua intenzione di consegnare Don Giovanni alla giustizia, e prega gli amici di prendersi cura della sua fidanzata ("Il mio tesoro intanto"). Elvira rimane sola ed esprime l’amarezza e la confusione del suo animo, oscillante fra amore e desiderio di vendetta (aria per l’edizione di Vienna "Mi tradì quell’alma ingrata"). È ormai notte fonda, e Don Giovanni s’è rifugiato nel cimitero, dove attende Leporello. Quando quest’ultimo arriva, Don Giovanni ride sonoramente al racconto delle sue disavventure. La risata è però interrotta da una voce minacciosa: «Di rider finirai pria dell’aurora». Essa proviene dalla statua funebre del Commendatore. Resosi conto del’evento miracoloso, Don Giovanni non si fa intimorire, e sfida le potenze dell’al di là imponendo a Leporello, terrorizzato, d’invitare a cena la statua parlante (duetto "O statua gentilissima"): l’invito è accettato. In casa di Donna Anna, Don Ottavio cerca di convincerla ad affrettare le nozze, ma ella lo prega d’aspettare che la vendetta su Don Giovanni sia compiuta. Tutto è pronto per la cena nel palazzo di Don Giovanni (finale secondo "Già la mensa è preparata"). Il cavaliere, desinando, si fa intrattenere da un’orchestra di fiati che gli suona un pezzo dell’opera ? Una cosa rara di Martín y Soler, quindi l’aria "Come un agnello" da ? Fra i due litiganti il terzo gode di Giuseppe Sarti, e infine l’aria del ‘farfallone amoroso’ dalle Nozze di Figaro: Leporello commenta «Questa poi la conosco purtroppo...». Irrompe Donna Elvira, e tenta disperatamente d’ottenere il pentimento di Don Giovanni, ma viene solo derisa. Nell’allontanarsi, grida terrorizzata fuori scena. Il libertino ordina allora al servo d’andare a veder cosa è stato. Leporello grida a sua volta e rientra pallido come un morto: alla porta del palazzo c’è la statua del Commendatore. Don Giovanni intima allora d’aprire e fronteggia a testa alta lo straordinario convitato. È la statua che questa volta invita Don Giovanni a cena, e chiede la sua mano in pegno; senza lasciarsi intimorire, il cavaliere gliela porge impavido. La stretta è fatale: pur prigioniero di quella mano gelida, Don Giovanni rifiuta di pentirsi e sprofonda quindi in un abisso di fiamme infernali. Troppo tardi giungono gli altri personaggi: Leporello li informa che il Cielo ha già fatto giustizia; loro non resta che cantare la morale del dramma.


Considerazioni sull'opera

Don Giovanni nacque sull'onda dell'entusiasmo suscitato a Praga, nel dicembre del 1786, dalle Nozze di Figaro: entusiasmo del quale Mozart si poté render conto di persona quando nel gennaio seguente fu invitato da Pasquale Bondini, impresario del Teatro Nazionale di Praga, e da Domenico Guardasoni, vicedirettore e regista della compagnia, ad assistere ad alcune repliche dell'opera. Con la consueta eccitazione ne riferì in una lettera del 15 gennaio 1787 al barone Gottfried von Jacquin: "Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta, non si fischia, non si canta che Figaro; non si sente altra opera che Figaro. E sempre Figaro! ". Era il tipo di successo spontaneo e caloroso che a Mozart piaceva e di cui aveva bisogno, e non per vanità, ma semplicemente perché scriveva per la felicità del pubblico, e sotto questo aspetto il pubblico di Praga aveva capito la sua opera più di quello viennese, troppo distaccato e sussiegoso. Ma Bondini e Guardasoni avevano invitato Mozart a Praga anche per un altro fine: proporgli di comporre una nuova opera da rappresentarsi a Praga nella stagione successiva. E fu con questa scrittura che il compositore fece ritorno a Vienna in febbraio, mettendosi subito a pensare al progetto.

Era del tutto naturale che per il libretto egli si rivolgesse all'autore di quello del Figaro, ossia al poeta dei Teatri Imperiali di Vienna, Lorenzo Da Ponte, e che gli affidasse in prima battuta la scelta del soggetto. L'esperto e navigato Da Ponte, che a quel tempo era oberato di lavoro, pensò di appoggiarsi su un soggetto di lunga tradizione e di sicuro effetto, che era appena riapparso a Venezia (per la stagione di carnevale, il 5 febbraio 1787) sotto forma di opera in un atto composta da Giuseppe Gazzaniga su libretto di Giovanni Bertati: Don Giovanni o sia il Convitato di pietra. Seguendone la traccia (fatto del tutto normale nella prassi teatrale, e di cui si poteva in certa misura mantenere il segreto, addirittura tacendo) si mise all'opera, sdoppiandosi nientemeno che in tre. Le Memorie del poeta ci informano infatti su come Da Ponte lavorasse contemporaneamente a ben tre libretti, che si era impegnato a consegnare nella primavera del 1787: una riduzione in italiano dell'opera francese Tarare con il nuovo titolo Assur Re d'Ormus per Antonio Salieri, il libretto appunto del Don Giovanni, che a Mozart "piacque infinitamente", e un altro ancora, L'arbore di Diana, per il compositore di origine spagnola Vicente Martin y Soler. "Trovati questi tre soggetti" – ricorda Da Ponte – "andai dall'imperatore [Giuseppe II], gli esposi il mio pensiero e l'informai che mia intenzione era di far queste tre opere contemporaneamente. ‘Non ci riuscirete!’ mi rispose egli. ‘Forse che no’, replicai, ‘ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart [sic] e farò conto di legger l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso'. Trovò assai bello il mio parallelo; e, appena tornato a casa, mi posi a scrivere". In sessantatré giorni le due prime opere erano finite del tutto, e dell'ultima quasi due terzi.

Stando a questa ricostruzione, il libretto del Don Giovanni sarebbe stato dunque ultimato al più tardi alla fine di aprile. Probabilmente Mozart cominciò la composizione già in marzo, via via che da Ponte gli passava le scene, e la mandò avanti nei mesi successivi, anch'egli parallelamente a innumerevoli altri lavori, per terminarla poi a Praga, dove giunse il 4 ottobre, raggiunto quattro giorni dopo dal Da Ponte. Prevista in un primo momento per il 14 ottobre per una serata di gala in onore dell'arciduchessa Maria Teresa, sorella di Giuseppe II, di passaggio a Praga (in sua vece venne data una ripresa delle Nozze di Figaro), l'opera andò in scena per la prima volta il 29 ottobre 1787 con una compagnia interamente italiana (quasi la stessa dell'edizione praghese del Figaro) e con enorme successo, ribadito alle repliche e tale da farla resistere in cartellone per anni: sicché quest'opera rimase per sempre legata con orgoglio, come un vanto, alla città boema. Anche perché quando giunse a Vienna, al Burgtheater il 7 maggio 1788, il Don Giovanni fu accolto con entusiasmo limitato ("troppo forte per i nostri viennesi", avrebbe sentenziato l'imperatore) o, secondo Da Ponte, addirittura "non piacque": di fatto ebbe soltanto quindici recite (l'ultima il 15 dicembre) e non riapparve più a Vienna che dopo la morte del suo autore (precisamente nel 1792, ma in tedesco e in un teatro minore) e all'Opera di corte non prima del 1798.

L'edizione viennese si segnala nella storia dell'opera per una serie di modifiche apportate per venire incontro alle diverse personalità dei cantanti, fattori a cui Mozart era attentissimo, e forse al gusto del pubblico di corte. La parte più toccata da queste modifiche fu il secondo atto, con l'espunzione dalla scena X dell'aria di Don Ottavio Il mio tesoro intanto, ingrata all'interprete viennese, che venne sostituita con quella, di carattere simile ma vocalmente meno esposta, Dalla sua pace, collocata però nella scena XIV del primo atto. L'intervento successivo riguardò Donna Elvira. Sollecitato anche qui, pare, da una richiesta della cantante, che era la celebre Caterina Cavalieri, Mozart compose l'aria di bravura Mi tradì quell'alma ingrata, facendola introdurre dal recitativo accompagnato "In quali eccessi, o Numi" e situandola nel secondo atto subito prima della scena del cimitero. Essa è preceduta da una serie di nuove scene, più che comiche, smaccatamente farsesche, che vedono impegnati in lazzi funambolici Leporello, Zerlina e un contadino. Di queste scene non è rimasta pressoché traccia nella tradizione esecutiva, mentre è ormai consuetudine accettata conservare entrambe le arie di Don Ottavio e quella aggiunta di Donna Elvira.

La versione viennese è importante anche perché pone indirettamente una questione nodale, che tanti dibattiti avrebbe innescato, relativa al finale dell'opera: il taglio di ciò che segue allo sprofondamento di Don Giovanni nell'inferno. Sembra che Mozart pensasse, e forse in alcune recite anche praticasse, di sopprimere la "scena ultima", nella quale tutti i personaggi, salvo Don Giovanni e il Commendatore, ritornano in scena per commentare l'accaduto e trarre la morale dell’"antichissima canzon" Questo è il fin di chi fa mal; e in questo senso parla anche il secondo libretto viennese pubblicato nel maggio del 1788, dove l'opera si conclude con "il foto che cresce" e Don Giovanni che "si sprofonda nel momento stesso in cui escon tutti gli altri, guardano, metton un alto grido, fuggono, e cala il sipario". Fatto sta che nella partitura questo taglio fu prima apportato e poi riaperto, con il ripristino del sestetto conclusivo; che dunque – sia musicalmente sia architettonicamente – corrisponde tanto alle prime quanto alle ultime intenzioni dell'autore. La questione, come si è detto, non è senza importanza: giacché, a tacer del fatto che nella prassi esecutiva soprattutto viennese e tedesca dell'Ottocento e del primo Novecento questo taglio fu mantenuto, mentre oggi lo si ritiene impraticabile al punto da portare al fraintendimento radicale dell'opera tutta, essa riguarda da vicino un problema sostanziale legato al significato del Don Giovanni: ossia il suo essere un'opera inafferrabilmente sospesa fra tragedia e commedia, o più precisamente un ripensamento globale, a tutto tondo, dell'opera buffa, alla cui tradizione si riferisce, e dell'opera seria, di cui proprio il finale, anche esteriormente, è lo specchio sommamente ma necessariamente ambiguo.

Luifra
P.S. Commenti sempre ben accetti
P.P.S. Stavolta ho tagliato poco 😃

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Il sogno di Scipione
Ascanio in Alba
Il rè pastore