Si sta come d'autunno..

Day 175, 06:57 Published in Italy Italy by Rebaf

..sugli alberi le foglie. Diceva così un grande poeta nato ad Alessandria d'Egitto, parlando della sua guerra di quello che provava in trincea. Internazionale torna nelle edicole, abbiamo voluto iniziare con una citazione mentre il nostro direttore torna dal fronte dove ha combattuto nei due giorni di duri scontri. Per questo primo numero post-bellico abbiamo deciso di evitare le critiche, le lucide analisi, i "j'accuse" contro il governo o chè, in questo articolo si vorrà solo parlare dell'esperienza della guerra e del trauma che essa porta. Vi lasciamo con le parole del nostro direttore che è stato testimone oculare dei combattimenti in Svizzera.

"Il fronte a Chur sembrava quasi congelato, noi ce ne stavamo lì: fermi, immobili, ad attendere un nemico che tardava ad arrivare e che sembrava non volerci mai fare il piacere di uccidere o lasciarsi uccidere. File di persone pronte a donare la loro vita, carne da macello, come me, armati di nulla e vestiti alla leggera che mantenevano la posizione e si dicevano pronti a morire per la patria. Che senso ha tutto questo? Più e più volte mentre attendevo il nemico, con il mio fucile in mano, me lo sono chiesto. Sentivo l'impersonalità della situazione penetrarmi nelle ossa più del freddo primaverile alpino, annotavo su un pezzo di carta le mie riflessioni e osservavo i miei commilitoni persi anche loro in, invece, personalissimi pensieri. Certo l'amor di patria è una bella cosa, certo il difendere le proprie case è altrettanto un nobile sentore, ma io, soldato quasi obbligato, non provavo gioia per quello che stavamo facendo. Non sentivo felicità al pensiero che questo avrebbe portato bene alla mia nazione, che questo avrebbe evitato vedere i norvegesi alle porte, non ero lieto della guerra. E mai lo sarò. Ho combattuto, è vero. L'ho fatto perchè ne avevo le possibilità e non volevo tirarmi indietro, non ero d'accordo ma la mia è stata solo una flebile corrente nel vasto oceano delle opinioni, ci siamo finiti in mezzo ed era giusto, in fondo corretto, che io ci andassi a Chur e che facessi il mio. Quando arrivò il momento dello scontro accadde tutto in fretta, riuscì a colpirne uno che cadde a terra ma subito dopo fui ripetutamente sconfitto e gli infermieri mi portarono via su una barella. Fortunatamente non ero stato ferito in modo grave e l'ospedale da campo mi rimise in sesto. Fu lì, in quel giaciglio improvvisato, che mi balzò in testa come una sorta di illuminazione: in tutto questo qualcosa di buono c'era. I volti dei miei compagni di battaglione mi apparvero davanti, volti allegri, volti impauriti, volti fieri e, addiritura, volti compiaciuti nell'aver massacrato vite umane, in ogni caso volti umani. E tra noi, in quegli attimi, non c'erano differenze, non c'erano comunisti, fascisti, conservatori, radicali, pacifisti o guerrafondai, c'erano solo uomini che condividevano tra di loro quel qualcosa di intimo e sconquassante che è la guerra. Ci sentivamo uniti e ci facevamo coraggio a vicenda, a nessuno interessava portare avanti le loro querelle personali o i loro personali credo politici o etico-morali, a tutti interessava solo fare gruppo e rimanere uniti perchè solo così un uomo può affrontare l'alienazione del fronte. Solo così possiamo superare il trauma della guerra: a falsi valori e miti contrapponiamo quello dell'universale fratellanza tra chi è nella medesima condizione, solo così un uomo può divenire immune agli scompensi psicologici che fare una guerra porta."

La guerra e la sua impersonalità, la guerra e i suoi risvolti più intimi. E' riguardo a questi temi che Internazionale vorrebbe sensibilizzare l'opinione pubblica, noi crediamo che ogni guerra sia una tragedia sia per chi si vede distruggere le loro case sia per chi, invece, si trova dall'altra parte e deve premere quel grilletto e uccidere quell'uomo. Uccidi uomini di cui non sai neanche il nome, di cui a fatica riesce a notare il viso contorto nella smorfia di impegno o di dolore, tu stesso vieni colpito e spesso non sai perchè, non sai dove hai sbagliato, dove hai lasciato il fianco all'avversario firmando la tua condanna a morte. La guerra è assurda, in ogni sua accezione, è un qualcosa che turba e che crea degli scompensi nei cittadini che tornano. L'Italia ora è stanca, la salute degli eitaliani è decisamente al ribasso e con essa anche la produzione che ne risentirà. Quella che i greci chiamavano "polemos" e che per loro era, invece, qualcosa in grado di far realizzare pienamente il cittadino di una "poleis", nel mondo odierno diventa occasione nella quale i nostri demoni vengono prepotentemente sputati fuori dal nostro animo e, se anche solo per un attimo, nella quale i nostri occhi possono vedere un piccolo pezzo di inferno esportato direttamente in questo nostro eMondo.