Nel nome di Padre Castell – Act.0

Day 2,919, 13:22 Published in Italy United Kingdom by militarista
PREMESSA
Un tempo questo genere di articolo era il mio marchio di fabbrica, racconto qualcosa sperando che ci sia ancora spazio per farlo.
Probabilmente non sai chi io sia, leggi lo stesso e magari ti ricorderai di qualche fotografia ingiallita che ci ritrae insieme. Oppure ti sorbirai i ricordi di un vecchio nabbo. In entrambi i casi, grazie della lettura.


'Nel nome di Padre Castell' — Act.0

Fuori fa freddo, dannatamente freddo.
Il buio si è già fatto notte, mi circonda e lascia che le nuvolette di condensa del mio respiro – cadenzato e faticoso, ma regolare – ci si sfaldino contro.
Mi stringo nella divisa. La stoffa è lacera, consumata. La scrollo passandoci stancamente una mano e sento la polvere abbandonare le fibre ruvide di un uniforme ormai obsoleta. Le mostrine sono ancora lì: dell'Etile ti ricorderai per sempre il giorno in cui entri, ma nemmeno la morte – anche solo quella virtuale – ti strappa certi distintivi.

Quando è successo?
Quando sono tornato... a respirare?
La domanda cade nel vuoto, assieme alla consapevolezza di una nuova esistenza sotto il chiarore vacuo e indifferente di un cielo di pixel ancora sgranati.
«Tutto sommato non è cambiato niente».
Le strade sono lastricate di quel che resta della pioggia, ci si specchiano dentro i lampioni mentre cammino. Un passo dopo l'altro, ma verso dove?

Mentre zoppico devo sembrare un soldatino giocattolo, di quelli tronfi con la loro uniforme lucida e variopinta di guerre di fantasia, che per caso ha preso vita. Di cose, ne ricordo molte. Storie ormai perdute e lontane nel tempo, tanto da dubitare che siano accadute per davvero. Un po' come le guerre fasulle e trasognate dei soldatini giocattolo.

Nel portafoglio ho qualche banconota accartocciata e una tessera di partito. Altre memorie mi invadono, ma – non so perché – sono frammenti di passato in bianco e nero. Alzo lo sguardo abbastanza da accorgermi di essere nei pressi della sede di quello che era stato il mio partito, Aquila et Gladius. Esisterà ancora?

Il palazzo è sempre al suo posto, imponente e illuminato. Salgo le scale che portano all'ingresso e osservo la mia immagine spezzarsi e ricomporsi riflessa sulla superficie di marmo, assecondando il capriccio di ogni gradino. È chiusa, ma il distintivo del Gran Consiglio, semi-arrugginito, funziona ancora.
Anche il mio ufficio è ancora dove l'avevo lasciato, solo che lui non lo sa. Sulla porta la targa si è consumata e la luce del sole ha reso opaca e illeggibile ogni scritta. Accarezzo lo stesso il solco delle lettere con la punta delle dita e mi godo l'ennesimo flashback del passato.

Entrando salto gli scatoloni, devono averla usata come deposito per le copie di Luce, e arrivo fino alla mia scrivania. Sulle pareti ci sono i poster elettorali di campagne di altre epoche, ormai consunti – parlano con una retorica vuota che non riconosco del tutto, ma mi annoda un groppo in gola. Tolgo un telo plastico dal tavolo, che scintilla immacolato e privo di polvere. Una pila di libri, ritagli di articoli, la lampada – modello statista risorgimentale – che funziona ancora. Alcune fotografie incorniciate mi ricordano quanto mi sia divertito: l'infanzia in Cile, le prime avventure politiche in Italia e nonna Mappina, la segreteria di AetG e gli amici storici in una foto che ricorda quelle dei “Ragazzi di via Panisperna” sui libri di storia. Ce n'è qualcuna anche più recente, almeno per quando me ne ero andato. Il giuramento dell'ultimo governo e una, in Inghilterra, in cui scimmiotto James Bond.

«Forse vivo nel passato», riesco solo a pensare.
Lo sguardo mi cade su un'altra immagine. Indosso abiti religiosi di fronte a un magazzino intonacato in calce candida, sopra cui – a vernice ancora fresca – sta scritto “Opera Sociale”. È dedicata, una costellazione di firme ringrazia tale “Padre Castell” per dell'aiuto ricevuto.

Padre Castell...
Un tempo mi conoscevano così.
Apro il cassetto di quella che era la mia postazione di lavoro, sposto un microfono radiofonico anni Trenta e la rivedo, finalmente. La vecchia e cara macchina da scrivere.
I tasti sono ancora al loro posto, il rumore ipnotico è sempre quello mentre li sfioro con un po' di esitazione. Batto incerto qualche lettera, mentre lei mi fa le fusa.

«Forse dovrei scriverci qualcosa...», penso.
E tutto sommato non è cambiato niente.