Alla ricerca del Geniere perduto

Day 3,837, 10:18 Published in Italy Italy by Zar Xevril Genar

"C'è un momento nella vita, in cui le parodie diventano più normali della realtà"

Mi chiamo John Hunter, e questa è la storia di come salvai il mondo. Iniziò tutto in un giorno caldo, di quel calore che ti consuma fino alle interiora e che ti potrebbe far sciogliere in pochi secondi, l'aria era secca, e il vento assente, sembrava un deserto.
Questo lo scenario della campagna d’Italia in Settembre. Eravamo preparati al caldo sì, ma lì era peggio di combattere a Al-Alamein. E le zanzare? Erano massicce come pugili, non c’è contesto con quelle in Inghilterra, ma neanche con quelle in tutte le sue colonie.
La campagna fu molto dura. Si avanzava di pochi metri al giorno, le volte in cui si avanzava, poiché il campo di battaglia non consentiva la creazione di un fronte compatto, e la terra di nessuno poteva essere larga anche un chilometro. Si stava ammassati nelle tende, stretti, per giorni interi ad aspettare un cenno di disorganizzazione nemica per sfruttarla. La situazione durò parecchi mesi, fino al 17 Settembre 1943, il giorno della svolta.
Partimmo alle sette di mattina circa, sarebbe dovuta essere una schermagliata improvvisata, eravamo in duecento più qualche migliaio di americani.
Saremmo potuti essere anche di più, ma non è facile negare il suo tè a un inglese.
Nonostante gli incitamenti, la maggior parte del nostro battaglione rimase al campo, gli altri invece partirono comunque in ritardo come sempre. Giurai che un giorno gli avrei insegnato la disciplina a quei figli di papà, anche se avessi dovuto fargli cadere tutti i denti a furia di pugni.
Dopo mezz’ora circa eravamo quasi tutti e duecento al campo Bravo, a circa cinquanta metri dalla terra di nessuno. Riconobbi qualche veterano, fra cui il mio vecchio amico Dom. Rimpiazza il suo essere americano con la sua scatola di sigari e una particolare abilità col fucile. Convinsi a seguirmi anche qualche smidollato del mio battaglione, Francis la vedetta, Christian il mitragliere, e un giovane geniere, il suo nome era Simon.
“Hey boss, che si fa oggi, la rivoluzione?” Disse Christian, detto il drago per la potenza di fuoco che riusciva a generare.
“Si fa il culo a tedeschi, ecco cosa si fa.” Risposi in tono incoraggiante.
Nel frattempo mi si era avvicinato anche Francis, che mi porse delle bottiglie di whisky con un tovagliolo dentro. Tutti ormai conoscevano l’allarmante stupidità di quel ragazzo, ma nessuno se ne curava più di tanto.
“Hunter, guarda qui cos’ho trovato. Degli americani se le sono fatte spedire dai russi, dicono che sono meglio del napalm!”
“Non dire cazzate Francis! Non è il momento per raccontarmi le tue storielle. E se ha davvero qualcosa in comune con il napalm, tieni quelle cose il più lontano possibile da me, e cerca di non fartele scoppiare in mano. Non mi stupirei se ne combinassi una delle tue, ma se vuoi far saltare qualche dito, almeno fa saltare i tuoi o quelli dei nazisti.”
“Signor sì comandante.”
Francis aveva il brutto vizio di chiamarmi per cognome, dopo le sue solite frasi stupide si dileguava in pochi istanti. Degli americani per farsi coraggio si erano portati dietro un intero camion di birra sequestrato dalla popolazione locale. Francis ebbe la brillante idea di fabbricare altri di quegli strani ibridi tra una bomba e dell’alcol, in un attimo, grazie alle sue bottiglie al napalm, sarebbe potuto diventare capodanno.
Aspettai gli ordini del comandante americano forse per un’ora. L’attesa era snervante, come potevano perdere tutto quel tempo quando sarebbero probabilmente morti tutti a fine giornata? Camminai per tutto il campo per verificare in che condizione fossero i soldati. La maggior parte degli americani era messa fuori gioco dall’alcol, inclusi gli ufficiali. Dopo un’altra interminabile ora ero ormai furibondo, e quando vidi il comandante Gordon anch’esso immischiato in quella bolgia decisi che era il momento di partire.
Mandai a fanculo gli americani, trascinai Francis da quella Sodoma improvvisata e chiamai i miei commilitoni. Per fortuna alcuni americani possedevano ancora un po’ di materia grigia e mi corsero addietro prima che i tedeschi si accorgessero del piatto ghiotto che erano diventati i nostri alleati. Alle dieci e trenta eravamo rimasti circa in cinquecento, e attaccare direttamente l’esercito tedesco era impensabile. Diedi l’ordine di fermarsi, presi una mappa e chiamai Dom.
“Quante possibilità ci sono di incontrare resistenza a Benevento?”
“Semplice, non c’è la possibilità, è certo. Di lì non si passa.”
“Lungo l’appennino invece?”
“Posti di blocco e mitragliatrici ovunque. Se ci fosse stato almeno un artigliere sarebbe stato facile ripulirne qualcuno prima di sera, ma quei bifolchi non riuscivano neanche a tenere un caricatore in mano.”
“Ci sarà pure un modo di avanzare. Ehi tu, si tu quello nuovo, Simon, vieni qui.”
“Signorsì comandante.”
“Quanto tempo ci vuole per guadare il Volturno?”
“Signor comandante se proseguiamo un chilometro verso nord-ovest basteranno pochi minuti. In quel punto, a detta dei nostri ricognitori, il fiume è ridotto ad un rigagnolo.”
“Perfetto. Avete sentito tutti? In marcia!”

Questa è la prima parte di un racconto che ho scritto quando non avevo niente da fare, spero che Plato non mi istabanni per motivi arcani, e spero che vi piaccia.

DANNATI COMUNISTI!