Le Magiche Avventure di Xebid - Parte Ottava

Day 3,417, 13:23 Published in Italy USA by Jonas Wilson
I giorni passavano senza sorprese, senza mutamenti.
Xebid veniva svegliato di notte a intervalli regolari da una secchiata di acqua gelida. Il modo che aveva Kcuilg Duodecimo, il carceriere, di mostrare che teneva ai prigionieri che aveva in custodia. Dopo ogni secchiata, un sorriso smagliante e la solita battuta: "buongiornissimo! Sir Onav manda i suoi saluti".
E il fastidioso ghigno di Muihger.
A metà mattinata, invece, Xebid doveva sopportare lo strano rituale del papero antropomorfo. Un'ora di tabelline starnazzate religiosamente ad occhi chiusi. Poi una fragorosa risata e subito a cacciar pulci col becco tra le piume.
Forse la prigionia non sarebbe stata tanto pesante senza l'ottuso papero nella cella accanto.
A metà pomeriggio arrivava l'orrido pasto, l'unico del giorno, reso peggiore, e ciò era difficile da immaginare, da un altro strano rituale. Ogni volta che il Kcuilg lanciava nella cella la scodella con la sbobba, puntuale come le tabelline di Muihger, arrivava il piccolo uccello che sembrava tormentare Sir Onav. Entrava dalla finestrella in alto, passando fra le sbarre, faceva un paio di giri sopra la testa di Xebid e defecava sulla scodella. Poi tornava alla finestra, tubava un po' -Xebid avrebbe giurato che l'uccello, in realtà, gli ridesse in faccia- e volava via di nuovo.
Al calar del sole iniziava il lungo ululare. Quasi continuo, distante ma chiaramente distinguibile. Abbastanza da gelare il sangue nelle vene. Almeno le prime dieci volte...
Non aveva modo di appurarlo ma Xebid aveva deciso, forse in cerca di un disperato senso di familiarità, che l'ululato proveniva dal pauroso Suportnacil.
Poi il sonno. Inevitabile, bramato, breve.

La prevedibile successione rituale degli eventi rese inconfondibile la stranezza del quindicesimo giorno di detenzione.
Xebid era irrequieto. Non sapeva spiegarselo razionalmente ma sentiva che qualcosa non andava come avrebbe dovuto.

"È il quindicesimo giorno" disse d'un tratto Muihger, rompendo il silenzio, quasi come se potesse leggere gli inquieti pensieri di Xebid "il quindicesimo giorno cambia sempre tutto".

"Cosa cambia?" chiese Xebid, preoccupato "io sono appena arrivato. Non sono mai stato qua. Quindici gior...".

Muihger lo interruppe con un gesto della mano "non tu, QUA QUA! Non sei certo così importante. È solo un caso che tu sia arrivato il primo giorno del ciclo. Tutto cambia al quindicesimo giorno. Tutto. Lo capirai. Vedrai. Dormi, ora. Dormi, se posso permettermi, QUA QUA, un consiglio. Tutto ti sarà più chiaro. O più confuso. Raramente queste cose funzionano allo stesso modo due volte di fila".

"Spiegati, papero!" Xebid non aveva l'umore per giochi "Cosa stai cercando di dire?".

"Pazienta. Dormi. Ascolta. Io sarò ancora qua, QUA QUA, domani mattina. E anche tu. Kcuilg non ti sveglierà. Non stanotte".

Xebid rinunciò a controbattere. Non si fidava ma qualcosa dentro di lui gli diceva che dormire era, in effetti, la scelta giusta.
Così, senza aggiungere altro, Xebid si coricò sul freddo pavimento. Contrariamente a quanto si aspettasse, il sonno giunse, e giunse in fretta.

La prima cosa che lo colpì fu la consapevolezza. Era consapevole di sognare. Xebid osservava le assurde geometrie che riempivano un orizzonte finito e alieno.
"Huh" commentò, in carenza di altre parole.
La sua mente si abituava lentamente alle regole di questa assurda dimensione onirica. Figure incomprensibili alla ragione solcavano cieli che non avevano motivo d'essere, né regole cui sottostare.
Una distante melodia colorava l'atmosfera e colmava i vuoti del pensiero cosciente, mero residuato vestigiale di una coerenza logica che non trovava luogo in questo mondo.
Un pianoforte. Un pianoforte nero. Xebid non poteva vederlo ma il colore era evidente: le note lo descrivevano.
Un pianoforte nero oltre la corte densa di colori impossibili.
Xebid fece un passo e vide il mondo conosciuto sparirgli da sotto i piedi. Montagne, laghi, fiumi, confini, continenti. Tutto cadde in un vuoto senza fondo all'interno della sua mente impotente ma vigile. Facce conosciute, volti ignoti. Tratti affascinanti e figure mostruose. Tutto gli passò davanti, sopra, sotto. Finché il buio non lo avvolse. Freddo. No, non freddo. Caldo. Ma non in maniera intollerabile o fastidiosa. Un tepore rassicurante lo avvolse tra spire di oscurità. Eppure era freddo. Xebid lo sapeva.
Il buio, di colpo, si dissipò. Fumi biancastri danzavano erraticamente. Figure eteree presero forma. Una sala ottagonale, circondata da colonne di alabastro si materializzò dal nulla, come se fosse stata sempre là.
Al centro, un braciere. Spire di fumo salivano verso una cappa sospesa inesistente, persa nel buio dell'infinito.
Fra due colonne, un piccolo fuocherello tremolava appena. Sopra, una moka nera grondante un liquido rosso denso, viscoso. Forse sangue. Sangue. Sì, sangue. Sangue caldo. Sangue spinto ritmicamente come da un cuore metallico.
Accanto, una figura tozza, grossa, gigantesca, minuta, cangiante, inesistente, impossibile. Era spuntata dal nulla, eppure, Xebid lo sapeva, era sempre stata là.
Bovroc. Il buon gigante Bovroc, curvo sul fuoco. Le grandi gambe raccolte intorno a uno sproporzionato braccio.
Xebid fece per gridare. Chiamarlo. Chiedergli perdono per ciò che era successo. Ma le parole non uscirono mai dalla sua gola.
La nera melodia del pianoforte nero aumentò in intensità. Si fece imponente, totalizzante.
Xebid urlava ma solo la melodia riempiva il mondo. La melodia, con i suoi colori, i suoi suoni. Null'altro esisteva. Nulla se non Bovroc.
Il gigante si girò di colpo. All'improvviso. In un istante. Lentamente. Senza fretta. Tutto era fermo. Tutto si muoveva.
Un pigro ruscello gorgogliante fuoriusciva dalla sua bocca, rosso. Gli occhi, spalancati e vuoti, lanciavano lampi di accusa. La bocca si aprì e ne uscì un suono che avrebbe gelato il sangue nelle vene anche all'impavido Sir Onav.
Sir Onav. Perché lui? Perché ora? Non aveva importanza.
Bovroc si girò nuovamente verso il fuoco e i suoi occhi non si spostarono più dalla fiamma.
Fu allora che Xebid notò il nuovo arrivato. O forse era sempre stato là. Un altro gigante. Ben curato, però, i capelli raccolti in una elegante coda resa lucida da olii aromatizzati. La barba corta e regolare, i baffi appuntiti e arricciati alle estremità.
Un occhio su Bovroc, uno su Xebid. Uno nero, uno giallo.
Xebid trasalí.

"Ocnaibovroc" tuonò una voce gutturale. Il suono veniva da tutte le parti. Fuori e dentro. La melodia del pianoforte iniziò a rimbombare, creando un effetto eco che sembrava moltiplicare il suono all'infinito. Una concatenazione sempre uguale di note.
"Ocnaibovroc" ripeté la voce.
Fu allora che Xebid notò la nuova figura al centro della sala, l'origine del fumo che saliva verso l'infinito, il pianista artefice della oscura melodia.

E allora Xebid seppe.


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Fine ottavo episodio.
Cosa sta succedendo? Cosa sa Muihger che non ha detto? Cosa vorrà mai dire questo sogno? Ed è veramente solo un sogno?
Non perdetevi i prossimi episodi per le risposte.

Vado particolarmente fiero di questo episodio perché ho sempre amato l'esplorazione del mondo onirico e questo racconto mi ha permesso di unire questo piacere all'introduzione di un segmento fondamentale.

Quanto al concorso: cosa rappresenta il "quindicesimo giorno? E chi è il pianista al centro della onirica sala ottagonale? Il vincitore otterrà un ruolo da guest star nei prossimi episodi. Qualora egli dovesse essere stato già previsto, vincerebbe un premio pari alla metà degli endorsement accumulati nelle prime 48 ore da questo articolo.


Tra l'altro, sottopongo questo articolo alla valutazione della giuria per il premio "Penna d'Oro".

Onde evitare censure dovute a segnalazioni moleste motivate dalla non attinenza a Erepublik, preferisco rendere esplicito l'ovvio: i personaggi sono caricature di certi giocatori ben identificabili, il piccolo paesino è l'eItalia, gli dei canuti sono i produttori, sviluppatori e moderatori di Erepublik stesso. Inoltre, si fa riferimento a episodi storicamente rilevanti per la nostra eNazione come la presunta espansione imperiale ad opera di Delussac svariati anni addietro.
Mors & Desperatio.
Toodles!

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Colgo l'occasione per sponsorizzare un altro giornale. Purtroppo, il giornalismo in Italia è spesso qualcosa qualcosa di pietoso. Non è mia intenzione ergermi a grande giudice né ad arbiter ma farò quanto in mio potere per aiutare un collega che ha dimostrato di poter dare una scossa al piattume con storie ben pensate e ben scritte.
Un vero autore.
Per questo motivo do il mio pieno appoggio ad Adriano De Meis con la sua saga dell' Agente ADM su "Omnia aut Nihil" (https://www.erepublik.com/en/newspaper/omnia-aut-nihil-317158/1).