L'ultimo ebreo saluta Kabul.

Day 5,084, 15:55 Published in Italy Italy by Marcello Mastroianni

C'era un tempo in cui i Seleucidi dominavano fra quei deserti bruciati dal sole e quelle montagne scavate dai venti.
In quel tempo gli ebrei potevano muoversi per l'impero e alcuni scelsero quelle terre di confine, così aspre ma così particolari e pacifiche.
I secoli trascorsero felici e mentre a volte si sentivano echi di guerre e si vedevano passare imperi senza mai fermarsi troppo a lungo a disturbare i figli di Levi, le varie comunità vivevano pacifiche e collaboravano tra loro.
Anche se molto lontani dalla loro Terra Promessa, i giorni di festa portavano per le strade di Herat e di Kabul le voci di questi piccoli e industriosi uomini barbuti che coi loro vestiti strani, le loro usanze e la loro lingua, arricchivano di commercio e di cultura tutti coloro che gli stavano attorno.
I testi sacri erano conservati con cura, scritti con devozione, opere d'arte rilegate.
Venne poi il novecento, il secolo del passaggio dalla tranquilla monarchia alle cruenti ideologie.
Gente strana, diversa da quelle genti che per secoli si erano succedute in quelle terre dai mille colori e dai cento profumi.
Non si giocava più con gli aquiloni colorati ma si maneggiavano armi semiautomatiche e si vedevano divise militari di genti straniere che parlavano una lingua rude e combattevano per sopravvivere e non per restare e commerciare.
Le preghiere del venerdì col canto del muezzin, non si concludevano con l'invito ad andare in pace ma con la spinta ad andare in guerra, a combattere l'infedele.
E fu così che quella numerosa e rigogliosa comunità abramitica lentamente si affievolì e infine si dissolse, o almeno così si disse per qualche tempo.
In realtà rimasero due soli ebrei a tenere in vita le antiche tradizioni, a tenere in ordine la piccola biblioteca e a far risuonare i versetti della Torah tra le mura screpolate della vecchia e misera sinagoga della via dei Fiori, la strada più bella del centro di Kabul.
Isaac Levin e Zebulon Simentov, gli ultimi due ebrei dell'Afghanistan.
Attraversarono il periodo comunista e il primo periodo dei Talebani al potere, assieme e facendosi forza l'un l'altro.
Si facevano compagnia ma essendo vecchi e poco inclini alla collaborazione finirono per irritarsi a vicenda, poi a litigare tra loro e infine ad odiarsi.
I Talebani ridevano nel vederli litigare come un gatto col topo e sapendo essere ebrei, ogni volta che potevano, approfittavano per maltrattarli e spesso imprigionarli.
Ma il vecchio Isaac e il meticoloso Zebulon non si diedero per vinti.
Si preparavano la carne kosher e si prendevano cura della preziosa Torah del 1500, opera miniata di rara fattura e di grande valore, col permesso e la benedizione del rabbino più vicino, di un Paese confinante.
Zebulon prese moglie di un Paese lontano ed ebbe due figlie ma perse poi tutte e tre quando queste decisero di rientrare in Israele.
La terra dei padri, richiamo perpetuo, sempre più incessante ora che erano soli e vecchi, lontani dai loro fratelli ed esposti continuamente alle angherie degli "studenti coranici" che gli sottrassero l'opera miniata per vendersela all'estero a ricchi acquirenti, gli bruciarono la biblioteca e depredarono la sinagoga, spogliandola quasi di tutto.
Erano trascorsi ben 15 secoli da quando gli ebrei vennero a vivere tra quelle lande misteriose e sconosciute, e ora di tutto ciò non restavano nemmeno gli ultimi ricordi.
Così un bel giorno si seppe che il vecchio Isaac non c'era più.
Tanto odiato da sperare che sparisse e ora che non c'era più tanto desiderato per scambiare due parole.
Cosa fare ora, adesso che Zebulon vedeva pure svuotarsi il suo ristorante, aperto nella bottega dove un tempo esercitava il mestiere di orafo.
I militari americani se ne erano andati improvvisamente, dopo venti anni, allo stesso modo repentino in cui erano apparsi.
Zebulon si sentiva vecchio, stanco e malato.
Non voleva essere l'ultimo ebreo a lasciare Kabul senza un funerale religioso, senza una degna sepoltura, senza nessuno che pregasse sulla sua tomba.
Voleva andarsene portando con se i suoi ricordi, essere testimone per altri che un tempo Kabul era stata ricca e fiorente, era stata accogliente e rispettosa e la via dei fiori aveva accolto la biblioteca e la sinagoga.
Così mentre tanti pensieri gli attraversavano la mente, un giorno ricevette una visita inaspettata.
Nascosto sotto abiti poveri e anonimi venne a trovarlo un vescovo cattolico, un buon cristiano, uno di quelli che il buon Dio manda nel momento dell'incertezza per portare la luce della speranza.
E così, in gran segreto, il vescovo assieme ad altri locali volenterosi, portò il vecchio Zebulon in aeroporto, con altre venti persone meritevoli.
Tutti pronti a fuggire da quella terra che ora li considerava estranei, che non li voleva più come suoi figli.
In fondo, pensava Simentov, gli ebrei hanno sempre dovuto spostarsi, sono sempre stati migranti, fuggitivi, estranei e quando erano accolti sapevano che non sarebbe durato per sempre, che a un certo punto avrebbero dovuto rimettersi in cammino e lasciare tutto ma senza perdere se stessi, senza dimenticare il proprio Dio, senza lasciare i bei ricordi.
E fu così che solo pochi giorni fa, Zebulon Simentov, l'ultimo ebreo di Kabul, lasciava per sempre l'Afghanistan.
Di lui si sono ricordati in Israele e in USA e queste due nazioni gli hanno offerto la possibilità di scegliersi una nuova casa in una terra accogliente, dove ancora poter respirare l'aria di libertà e democrazia che non soffia più laddove un tempo gli ebrei erano liberi, erano numerosi ed erano felici.
Ora in quelle terre, aspre e impoverite dall'odio religioso, non c'è più il profumo di vita che si respirava un tempo e chissà quanto tempo dovrà ancora passare prima che un altro ebreo possa ritornare e riaprire la biblioteca ad Herat e la sinagoga a Kabul.
Chissà se si ricorderanno allora degli ultimi due ebrei, di Isaac e di Zebulon e di quando i versetti della Torah risuonarono per l'ultima volta per le strade di Kabul.

Cari saluti a tutti e non perdetevi il prossimo articolo!
Ricordatevi di votare, commentare, fare una piccola donazione e abbonarvi se ancora non lo avete fatto!

Marcello Mastroianni (su e-republik)
IL RESILIENTE (su telegram)

Articolo disponibile dal giorno 22.10.2021
© Copyright 2021 ©
Tutti i diritti riservati
Politica sulla riservatezza
Consiglio per gli Affari Giornalistici
Consiglio per gli Affari Internazionali