La Fine di un Dittatore e del suo Potere.

Day 4,371, 16:18 Published in Italy Italy by Marcello Mastroianni

Cari amici,
Gentili abbonati,
Affezionati lettori,

Al termine della caduta del Muro di Berlino, ecco che un altro Paese del cosiddetto "Blocco Orientale e del Patto di Varsavia", attraversa la sua crisi del regime comunista al governo e decide di trasformarsi finalmente in una democrazia.

C'è però un vecchio dittatore che si illude ancora di restare al potere molto a lungo e che non capisce che il suo tempo è scaduto ed è in corso un rapido conto alla rovescia per lui e per sua moglie...

Articolo tratto dal sito internet: www.letturefantastiche.com/il_tramonto_dell_impero_sovietico_e_la_caduta_del_muro_di_berlino_1.html

Alla fine del 1989 solo due nazioni del Patto di Varsavia conservavano ancora il proprio carattere comunista integralista. Una era l'Albania che avrebbe dovuto passare attraverso lunghe e dure sofferenze per giungere a una parvenza di democrazia negli anni novanta. L'altra era la Romania. La nazione dei Carpazi era la più tenace sostenitrice dell'idea del leninismo in Europa Orientale, non perché la popolazione ne fosse entusiasta, ma per l'efficace opera di propaganda del sistema creato da Nicolae Ceausescu. Quest'uomo al potere da decenni aveva assunto il ruolo che è tipico in ogni nazione totalitaria. Col nome di Conducator (che altro non è se non una variazione dei tristemente famosi führer, duce, caudillo) si era prodigato per instaurare un culto della personalità che desse consistenza a una dittatura molto più reale delle idee che si voleva diffondere tra la gente.

La Securitate, polizia segreta rumena, aveva ben poco da imparare dalla Stasi o dal KGB, anzi per l'efficienza con cui si reprimeva il dissenso interno si poteva dire che fosse un perfetto strumento di contenimento. La sicurezza così ottenuta da questo regime permetteva al suo leader di presentarsi all'opinione pubblica internazionale come un abile politico, tanto da farsi apprezzare da tutti i governi della Comunità Europea che vedevano benignamente l'uomo che era chiamato in patria "il custode del Partito e della Nazione". La Romania, in effetti, nel 1989 era riuscita a eliminare il pesante debito estero di 21 miliardi di dollari, ma solo facendo pesare sulle spalle del popolo il terribile fardello di un'inflazione galoppante e della penuria cronica di generi alimentari.

L'informazione controllata dallo stato non riuscì però a nascondere cosa stava accadendo nel resto dei paesi socialisti dell'Europa dell'Est. A poco a poco, presero a filtrare le notizie sulle riforme in senso democratico che la vicina Bulgaria e Ungheria avevano intrapreso. Fu proprio la svolta avvenuta in quest'ultima nazione che diede una via di scampo ai dissidenti e alla povera gente rumena.

Tradizionalmente, la regione della Transilvania, abitata da una maggioranza di origine magiara, forniva un gran numero di emigranti verso l'Ungheria. Nella prima metà del 1989 a questi tradizionali profughi si unirono diverse decine di migliaia di cittadini di origine rumena che fuggirono in quella direzione con ogni mezzo. Questo primo segnale di sgretolamento dello stato comunista fu nascosto con un’abile campagna di disinformazione che sembrò aggiustare ogni cosa.

Però l'opposizione a Ceausescu si espresse anche tra gli stessi appartenenti alla nomenklatura rumena. Il 10 marzo fu consegnata al servizio internazionale della BBC una lettera firmata da sei personaggi che avevano avuto parte importante sia nel Partito Comunista sia nel Sindacato Unico. In essa si criticava la miopia politica del Conducator che non vedeva come il mondo stesse cambiando con velocità.

Arrivarono persino a dichiarare la sua incompetenza e incapacità di governare. La risposta del destinatario di queste critiche fu molto dura, tanto da provocare una risposta anche nella classe intellettuale, disgustata dai metodi fascisti con cui si metteva a tacere l'opposizione. In un'altra lettera, indirizzata questa volta a Radio Free Europe, famosi intellettuali gridarono la propria sofferenza per la Romania, ormai trasformata in un "Biafra dello spirito" come ebbe a definirla Louis Aragon. La tiepida intraprendenza dei ceti culturalmente elevati non scalfì per nulla la sicurezza di Ceausescu e altrettanto fecero le critiche che arrivavano dalle nazioni vicine, quegli stessi alleati ormai ex-comunisti che non potevano sopportare di avere ai propri confini un politico che innalzava la propria persona e quella della propria moglie su un'ara votiva per ottenere l'adorazione dei propri sudditi. (questa fu la definizione dei liberali croati che lo definirono anche un "Nerone socialista") La certezza della sua forza era tale da permettergli anche un tono arrogante nei colloqui con Mikhail Gorbaciov che con accondiscendenza soprassedeva alle sue mire nazionaliste sulla Bessarabia e la Moldavia. Il passaggio tra la sicurezza e l'arroganza è sempre breve e per Ceausescu lo fu ancora di più. Non servirono da monito neppure le condanne della Commissione per i diritti dell'uomo dell'ONU e della UE per fargli capire il pericolo verso cui si stava dirigendo. Anzi, il 21 Novembre, nel discorso per la nuova conferma al comando del partito, ebbe l'ardire di affermare pubblicamente che la Romania non avrebbe più accettato gli accordi sulla Bessarabia.

Gorbaciov, come in tutte le altre occasioni, si preoccupò limitatamente della superbia del Conducator, confidando probabilmente sul fatto che la Romania dipendeva per il 30% dalla importazione dall'URSS e che se si fosse spinto troppo lontano, Ceausescu sarebbe potuto essere riportato su posizioni più concilianti da pressioni economiche. Sfortunatamente, ciò che doveva essere sotto controllo, cioè il consenso del popolo rumeno, non lo era per nulla e si manifestò nella sua drammaticità con i fatti che accaddero a Timisoara, nella Transilvania rumena. Una vasta folla di manifestanti, mista di cittadini di origine ungherese e rumena, si era radunata per protestare contro la decisione del governo di allontanare dalla città il pastore calvinista Laszlo Tokés, simbolo della comunità magiara. Era la prima volte che il dissenso popolare si manifestava così arditamente e il Conducator decise che doveva essere anche l'ultima. Ordinò a reparti speciali della Securitate di reprimere con la forza ogni resistenza e l'ordine fu ottemperato alla lettera, sparando sui cittadini indifesi. Le vittime secondo stime occidentali (probabilmente gonfiate dalla stessa opposizione per creare un maggior numero di martiri) furono tra le 2.000 e le 5.000.

Soddisfatto dalla manifestazione di forza, Ceausescu considerò concluso l'incidente e partì per l'Iran, dove aveva programmato una visita di routine. La grave sottovalutazione dell'accaduto è evidenziata anche dalla precipitazione con cui si affrettò a rientrare già il 20 Dicembre, quando ebbe la notizia che alcune frange del partito comunista stavano complottando. Infatti, si può ipotizzare che già il giorno 16 Dicembre vi fossero degli esponenti della Securitate e del partito pronti al colpo di stato, rimandato al periodo della sua assenza solo per motivi di convenienza e interrotto dal suo rientro inaspettato. Malauguratamente per lui, Ceausescu era assolutamente fuori dalla realtà della situazione politica del suo paese. Ritenendo sufficiente la sua sola presenza per riportare l'ordine, organizzò una riunione pubblica a Bucarest per magnificare ancora una volta la propria persona. Bastò che si fosse presentato alla folla, radunata come al solito nella piazza del Palazzo presidenziale, per essere sonoramente fischiato da gruppi di studenti e operai che, sfidando le armi della Securitate, lo costrinsero a ritirarsi per la vergogna.

Fu in quel momento che aprì gli occhi, timoroso di perdere il potere. In un'ultima riunione con i vertici del partito (un'altra similitudine con Mussolini) chiese un completo appoggio di tutte le forze per reprimere la rivolta, ormai dilagante in tutta Bucarest. La risposta fu positiva, ma nessuno si mosse veramente. Ciò che seguì quell'ultimo incontro fu niente più che l'agonia di un tiranno. Inseguiti dalla folla inferocita, Ceausescu e la moglie tentarono di fuggire prima in elicottero e poi in automobile, ma senza alcun appoggio si ritrovarono senza benzina in aperta campagna, costretti a chiedere aiuto a un automobilista di passaggio, un operaio di nome Petrisor. Egli, con una scusa, li condusse in un centro botanico, dove da privato cittadino improvvisatosi rivoluzionario, li mise agli arresti in una stanza chiusa a chiave. Ciò gli bastò per ottenere il titolo di eroe popolare. Proprio come un antico imperatore romano, così Ceausescu finiva i propri giorni abbandonato dalle fidate guardie (la Securitate lo stava addirittura inseguendo dopo un tradimento straordinario), costretto alla resa da un semplice operaio.

L'ira popolare per lunghi anni repressa doveva avere il suo sangue e infine lo ebbe. Alcuni autori (tra cui Fejtö) hanno criticato le modalità con cui fu celebrato il processo a Ceausescu, dipingendolo come una farsa. Proponevano una fine più equilibrata, con un processo nello stile di Norimberga o più viscerale, sotto i colpi del popolo inferocito come Mussolini, ma la Romania Rivoluzionaria doveva darsi una parvenza di legalità. La lotta era per la libertà e lo stato di diritto, ma col desiderio di distruggere l'uomo-simbolo della dittatura. Furono raggiunti entrambi gli scopi attraverso un procedimento d'urgenza con giudici popolari, guidato da un trascinatore di popoli chiamato Gelu Voican, di professione geologo, che fece da accusatore, difensore e, dopo l'esecuzione, persino da Pope ortodosso per dare una sepoltura cristiana ai corpi del Conducator e della consorte. Così la radio nazionale rumena annunciava la morte del suo presidente il giorno di Natale 1989:

"Il 25 dicembre 1989, Nicolae e Elena Ceausescu sono stati giudicati da un tribunale speciale militare. Le accuse erano:

a) genocidio di più di 60.000 persone;
b) minacce al potere dello Stato tramite organizzazione di azioni armate
contro il popolo e il potere statale;
c) distruzione di proprietà pubblica per mezzo di demolizione e
danneggiamento di edifici, esplosioni, ecc.;
d) danneggiamento dell'economia nazionale;
e) tentata fuga all'estero e sfruttamento di più di un miliardo di dollari
depositati in banche straniere.

Per questi crimini contro il popolo rumeno e la Romania, i colpevoli Nicolae Ceausescu e Elena Ceausescu sono stati condannati a morte e alla confisca delle loro ricchezze. La sentenza è inappellabile ed è stata eseguita."

Se qualcuno aveva pensato che la morte del dittatore sarebbe servita a far tramontare quarant'anni di comunismo si dovette ricredere ben presto. A Bucarest, i cospiratori del colpo di stato, pur non avendo partecipato ai moti popolari, si presero il merito della vittoria, dando inizio a quella "confisca della rivoluzione popolare" che sarebbe stata al centro della politica rumena degli anni novanta. La Securitate, come già detto, era passata al servizio di nuovi padroni riuniti nel Fronte di Liberazione Nazionale, dove tra veri liberali e democratici si erano riciclati i comunisti, compresi gli stessi membri del Partito che avevano giurato fedeltà a Ceausescu il 21 dicembre. Per calmare i rivoltosi furono attuate delle riforme che permisero libertà politiche e riforme agrarie e degli stipendi. Furono ripristinate la proprietà privata e la libertà di associazione, ma i problemi di fondo rimasero immutati. La tradizionale xenofobia nei confronti degli ungheresi si concretizzò nell'isolamento di Tokés e dei suoi alleati, mentre l'economia, danneggiata dalla rivolta, entrava ulteriormente in crisi. Agli occhi delle nazioni occidentali, l'operato del nuovo governo nel processo a Ceausescu fu ritenuto incompatibile con una piena democrazia, inspirando solo sfiducia. La Romania aveva perso un Conducator, ma non aveva ottenuto una verginità internazionale che gli permettesse un confronto alla pari con le altre nazioni dell'Unione Europea e dell'ex blocco orientale.

Si conclude con questo articolo la nostra riflessione sulla fine di un dittatore rumeno e di un regime dittatoriale nella Germania dell'Est ( articolo di ieri)

Non dimenticate di abbonarvi al giornale, se ancora non lo avete fatto 🙂
Commentate e votate liberamente seguendo il vostro pensiero ed esprimendo le vostre idee.
Se volete lasciate un contributo volontario come riconoscimento del lavoro di giornalista, grazie di cuore.

A ritrovarci al prossimo articolo,non mancate, vi aspetto 😉

IL RESILIENTE
Conte Camillo Benso di Cavour