Un mondo semi-silenzioso

Day 1,969, 05:30 Published in Italy Croatia by Squatriota

Racconto ispirato da Il processo di Kafka, dalla situazione giornalistica eitaliana e da Uochi Toki - Distopi; altri ascolti consigliati: Artificial Kid - Numero 47 e Danno - Deragliamento personale.

Cronache da un mondo semi-silenzioso
Non ci fu nessuna apocalisse nucleare, nessuna guerra ad armi di distruzione di massa che distrugge l'atmosfera e fa saltare in aria le barriere alla fatale sovraesposizone. Nessun dio vendicativo che ci scaccia dall'Eden perché abbiamo osato lambire mete troppo alte della conoscenza. Non una decrescita felice, non una morale alla volemose bene che ci insegna ad abbandonare i fasti e i lussi della superficie. Non una cerchia di potenti che ci intima a lasciare a loro festoni e foreste lussureggianti per confinarci nel sottosuolo.
Ma già da prima mi ero rifugiato nel buio; cultore di dei ormai decaduti, e troppo orgoglioso per sottostare ai vincitori del golpe celeste, non potevo che scegliere l'ostracizzazione volontaria, possessore di saperi esoterici e formule magiche ormai futili ed inutili nel Sistema, orologio ben oliato in cui ognuno era una ruota dentata, uno strumento asservito al bene comune, sorridente perché faceva la sua parte; io sono fatto male, e non potevo che essere escluso sia dalla nobilita del lavoro e dell'apprendimento che dalle grandi feste, che ogni sera celebravano il miracolo della coralità.


Ogni giorno era più sintetico, eppure si continuava a festeggiare; rimpiango il non aver mai potuto prenderne parte, e maledico ogni giorno quella cortina di orgoglio e disappunto che avevo innalzato tra me e la realtà; in realtà, ho assistito a qualcuno dei festeggiamenti, io stesso mi sono genuflesso e ho salutato le nuove divinità, in quei pantheon, ma mai sono riuscito ad esserci, ad entrarci; non che bisognasse valicare qualche porta o pagare un obolo all'ingresso: le feste si svolgevano all'aperto, e tutta la metropoli ne era coinvolta, illuminata a giorno. Si balzava sui tetti, si faceva giuramento agli idoli che dalle case si innalzavano nel cielo, e poi si cominciava, per poi finire solo alle prime luci dell'alba, giusto in tempo per una doccia, per lavare via il sangue, fare il bucato ed indossare camicie linde, e poi subito alla Macchina, a salutare con affabile sufficienza borghese quello che qualche ora prima era stata la tua balena bianca, la tua nemesi. Non si badava al vincere o al perdere, l'unica cosa che contava era il sangue e l'effetto catartico che avvicinarsi asintoti alla morte e pestare un altro essere umano producevano. Era una festa che celebrava la coesione diurna degli operai della Macchina, e al tempo stesso valvola di sfogo per la frustrazione che il lavoro alla Macchina intrinsecamente produceva.


Andai a vivere sottoterra, nutrendomi di radici bianche e piccoli animali, riscoprendo carcasse fossili di atavici esseri e operando in piani esoterici della realtà, per evocare, lentamente, entità da dimensioni ermetiche, nel tentativo, che ben sapevo inutile, di armare un assalto alla Montagna Sacra dei 9 che regolavano le leggi fisiche e le meccaniche della realtà.
Nel frattempo, sulla terraferma, la situazione degenerò. La città si espandeva sempre di più, aumentava la ricchezza e con essa il tenore degli scontri; da beghe tra qualche individuo svolta al lumicino di lampade a petrolio, si costruì un'enorme piattaforma, sopra la Macchina, sotterranea, spazzando via i grattacieli e gli edifici; fu detto che i cittadini non necessitavano di proprietà privata, e che dovevano essere in ogni momento parte integrante della Macchina: anche quello che doveva essere uno sfogo, un'opportunità di evasione fu fagocitato dalla Macchina e a lei asservito come succursale. Una notte, però, le cose andarono storte. Si stava combattendo ormai da due-tre ore, erano le tre di notte; la città e la piattaforma splendeva ancora di più del solito, con enormi fari e led che assillavano la piattaforma di cemento armato a tal punto da non lasciarla riposare nemmeno in un piccolo lembo di zona d'ombra. All'improvviso, però, cortocircuito: levitarono da alcuni cavi scoperti delle folgori, che uccisero due combattenti. Gli esseri umani reagiscono in modo strano alla morte. Smisero di combattere e presero a litigare; si divisero in due schiere, e ognuna rinfacciava all'altra la morte dei due poveretti. Le feste divennero guerre tra le due schiere, ogni giorno più cruente, e ogni giorno lambivano come onde sempre di più il bagnasciuga del tempo di lavoro, sino a quando non ci fu tempo per lavorare, e ogni istante fu destinato alla battaglia, e persino la mattina la serena, tersa e soave luce del celeste che si raggruma in candide nuvole, le luminarie non davano tregua, e questo non poté che portare alla catastrofe. I cavi continuavano ad eruttare terribili folgori, che mietevano sempre più vittime; i membri delle tue cosche, i più, cominciarono a fuggire, nell'unico posto ancora salvo ed esente dalla contaminazione di quella luce sintetica ed artificiale: il sottosuolo. Ma non fu una migrazione collettiva, ognuno si scavò una piccola nicchia, nel terreno, vicino alle radici dei grandi alberi, che ancora svettavano dalla pista, nutrendosi di ciò che quei bronchi potevano dar loro e di insetti, isolati tra di loro e immobili, vergognosi e intimoriti dal turbare, col minimo rumore, i combattimenti in superficie, derogati a pochi coraggiosi, titani che sfidavano a viso aperto sia il nemico sia le folgori.


Notai con interesse la scelta dei terrestri, che non costruirono città sotteranee, come se la loro condizione fosse la giusta pena per espiare la colpa di aver distrutto con le loro mani la loro civiltà, e, consci che non erano fatti per il vivere comune, aspettavano la morte, in quei tuguri, in una situazione inimmaginabile poco tempo prima. Ma anche nelle sfere celesti le cose non rimasero immutate; quando i terrestri smisero di venerarli, poiché impegnati a non essere sotto terra, privati della primaria sorgente dei loro poteri, l'energia mentale che gli era tributata negli scontri e nelle venerazioni, hanno abdicato, lasciando progressivamente il controllo e le redini dell'universo, lasciandolo nel caos; il suolo fu turbato sembre di più dallo spuntare accelerato di foruncoli simili a geyser, lembi di terra in cui vortici hanno scavato fino al centro della terra, creando torri che ermergono e si sfogano sulla terra come formicai, che esulano dall'ordine naturale stabilito, slegato dai lacciuoli dello spazio tempo e che plasmano le leggi fisiche in modo del tutto casuale.


Ho deciso di tornare in superficie, e calcare di nuovo quel suolo a me tanto caro, per apprezzare ciò che è rimasto dell'umanità e degli higlander superstiti. Ho picconato la roccia e scavato la terra superficiale, per riaprire quella cavità, ermetica ormai da anni; ho gattonato carponi fino all'uscita, e mi sono issato con le ultime forza delle braccia; nessuna platonica luce accecante mi ha accolto, nessun caldo sole che screzia la mia pelle cadaverica; con fatica mi alzo ritto sulla schiena, marcita per l'umidità della fossa, sulle gambe tremolanti, inflaccidite da anni di sgaiottolare in cunicoli, e comincio a vagare ramingo in quella landa desolata. La piattaforma è distrutta, sbriciolata dal tempo, dallo sbucare dei geyser e frantumata dai colpi dei titani, sovrastato da un cupo cielo; la ricerca del sole è tarpata e bloccata da una spessa coltre di grigie nubi, e la luce non riesce a filtrarvi e farvi breccia adeguatamente. Il terriccio si è fatto sabbioso, e dei grandi alberi che lo solcavano alteri, non rimangono che rugose e rinsecchite mani che si protendono verso l'alto, a questuare un aiuto agli dei, tanto potenti un tempo ma ormai scomparsi. Non c’è traccia di insediamento umano, i letti dei fiumi, prima tanto abbondanti, sono stati brecciati dalla siccità e il mondo è immerso in inumano silenzio; ogni emissione è stata eliminata, e v’è silenzio in ogni frequenza radio; sottoterra, gli uomini hanno perso notizie e coscienza degli altri, e forse anche di loro stessi, in un digiuno dal rumore come un flagellarsi purificatore dopo il male compiuto.

Sembra che dopo la grande ubriachezza di energia, orgasmo elettrico, il mondo sia sprofondato nella quiete, connotata dal brontolare del cielo, dal gorgogliare della terra, da un costante ronzio e da qualche tremolante folgore che, intimorita dal turbare quella pace solenne, ancora s’impenna come fuochi fatui e squarciata di tanto in tanto dal rumore assordante dei geyser.