Racconti di fabbrica - 1°

Day 2,616, 15:39 Published in Italy Italy by Cekista


Con felicità apriamo la rubrica "Racconti di fabbrica", dove pubblicheremo i racconti che la nostra redazione riceverà.

Avanti compagni, il sole rosso del Comunismo ci attende!





La sirena della fabbrica era appena suonata, quando il compagno Sokolov uscì per tornare a casa. Era stanco ma felice: un nuovo giorno donato alla causa socialista. Il vento pungente, carico di umidità, soffiava con forza e pareva che si addentrasse fin sotto la pesante giacca, fin dentro il costato. Il volto nero e le mani sporche di grasso erano avvolti rispettivamente nel bavero del colletto e nelle tasche, mentre con le dita giocava con una piccola moneta di metallo.
"Potrei andare al Comitato di Quartiere a farmi un bicchierino con gli altri compagni, prima di andare a dormire", pensò Sokolov.

Erano passati parecchi anni dalla Rivoluzione. Si trovava bene, nel "nuovo mondo". Aveva la possibilità di fare una cosa che non aveva mai fatto: decidere. Eppure era un semplice operaio, non faceva parte dell'intellighenzia che fino ad alcuni anni prima comandava e sfruttava. Ora decidevano loro, insieme ai compagni del Commissariato del Popolo all'Industria Pesante, quanto, come e cosa produrre: il tutto era per la collettività e non per placare quel misero sentimento animale della sopravvivenza.
Tanti compagni come lui erano contenti del nuovo sistema, erano più tranquilli e rilassati nonostante il duro lavoro fosse tale e quale a prima. Ma lavoravano con un piglio diverso, erano smossi da una volontà dirompente: lavorare ora per non lavorare più come prima. Basta sfruttamento, basta condizioni di vita immiserenti.
Erano contenti, stanchi ma contenti.

Si pativa ancora la fame, non sempre, ma ogni tanto sì. La Guerra Civile aveva distrutto gran parte delle fattorie collettive e delle riserve di grano per colpa di quelli che non avevano il coraggio e la volontà di muoversi verso una società migliore, coloro che hanno difeso a spada tratta i loro privilegi da ricchi possidenti. Almeno una volta all'anno, tra gennaio e febbraio, bisognava ritirare la tessera annonaria per il razionamento, anche se non era così feroce come alcuni anni fa. Ma era necessario: la colpa non era loro, nemmeno dei Commissari del Popolo. La colpa era dei ricchi, degli sfruttatori, della borghesia. Di coloro che si macchiavano del più grave crimine umano, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Il compagno Sokolov non aveva studiato, la sua famiglia non poteva permetterselo e sotto il vecchio regime se nascevi povero così morivi. Ora era diverso. I bambini andavano a scuola e studiavano fino alla laurea, gratuitamente. L'istruzione era la cosa più importante e lo era anche per lavorare in fabbrica. Per questo motivo era sempre attraversato da un sentimento contrastante, un misto tra felicità per gli altri e un pizzico di invidia.

Mentre pensava a quante cose erano cambiate, si passò una mano sulla bocca per togliere i piccoli pezzi di ghiaccio che si formavano sui baffi bianchi. Girò l'angolo e incrociò la strada con due guardie della Milizia Popolare che chiacchieravano tra loro. Con un gesto naturale, pur non conoscendosi, si salutarono:"Buona sera, compagno!". "Buona sera a voi, compagni miliziani!", gli rispose sorridendo, tirando i muscoli del viso contratti dal freddo.

Camminò ancora, attraversò il ponte sul fiume e sentì che pian piano il vento si calmava: nonostante ciò, il freddo pungente gli infastidiva le labbra, gli occhi, il naso e le gote, che erano rosse come dopo aver bevuto un'intera bottiglia di vodka.

Dopo poco, intravide la luce del locale dove si riuniva il Comitato di Quartiere. Ciò significava molte cose: che era arrivato a casa, che si sarebbe riscaldato vicino alla legna ardente, che avrebbe condiviso un bicchiere con i compagni e avrebbe chiacchierato di qualsiasi cosa, del lavoro, di politica, della guerra.

Era contento e per questo accelerò il passo per arrivare più velocemente.

[...continua...]